La Corte EDU attrae l’accertamento tributario nell’ambito penale
Il tema dell’applicabilità dell’art. 6 Convenzione Europea dei Diritti Umani alla materia tributaria è stato molto dibattuto negli anni più recenti, sia in Italia che all’estero.
Nel nostro Paese, la sentenza Ferrazzini vs. Italia sembrava aver detto la parola fine al dibattito, stabilendo in modo netto che accertamento e il processo tributario non sono qualificabili come giudizio inerente a “obbligazioni o diritti di carattere civile” in quanto la fattispecie impositiva, ancorché connotata da un evidente carattere patrimoniale, rientra in una sfera pubblicistica riservata allo Stato su cui, anche in conformità a quanto stabilito dall’art. 1 protocollo 1 della Convenzione, la Corte Europea non ha poteri di controllo.
In realtà, già dalla lettura della sentenza in esame emerge in modo evidente che l’apparente chiusura della Corte ad accordare la tutela dell’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione è frutto della non corretta proposizione del quesito, più che di una effettiva riluttanza di Strasburgo ad occuparsi di questioni fiscali.
Di tale tesi si è avuta conferma in numerosissime pronunce che si sono susseguite negli anni che hanno trovato il loro culmine, alcune settimane or sono, nella sentenza Vegotex International SA vs. Belgique , in cui la stessa violazione denunciata in Ferrazzini – ossia l’irragionevole durata del processo, inteso come fase amministrativa di accertamento e fase giudiziaria di vero e proprio contenzioso tributario – viene ritenuta sussistente semplicemente valorizzando il carattere sostanzialmente sanzionatorio e quindi, (secondo il celebri criteri Engel elaborati dalla Corte) “penale”, della procedura di accertamento tributario.
In sostanza la tesi della Corte EDU è che nella misura in cui la fase amministrativa di accertamento ed il successivo processo non hanno solo la funzione di accertare la debenza del tributo, ma applicano anche una sanzione (sia essa anche una semplice maggiorazione di imposta), divenendo l’una il presupposto dell’altra, l’intero volet pénal dell’articolo 6 è applicabile perché l’intera fattispecie viene attratta nella materia “penale”.
Tale principio, già chiarito nella celebre sentenza della Grande Chambre Jussila c. Finlande del 23 novembre 2006, porta dunque ad applicare all’accertamento e al processo tributario non solo il primo paragrafo dell’art. 6 della Convenzione (applicabile indistintamente tanto alla materia penale quanto a quella “civile”), ma anche – e soprattutto! – i paragrafi due e tre che affermano, l’uno, il principio di presunzione di innocenza e l’altro – fra il resto – il diritto esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico.
Se, quanto e come sia compatibile un sistema sanzionatorio tributario come il nostro, che in larga parte riposa su meccanismi presuntivi ed esclude radicalmente l’esame testimoniale, anche laddove nell’accertamento siano stati interpellati e sentiti terzi – o più banalmente quando si applichino presunzioni semplici – è la storia che dovrà essere scritta dai futuri ricorsi e dalle sentenze a venire.
Per un approfondimento sul tema e sui passaggi salienti della sentenza in commento si rimanda all’articolo di commento raggiungibile cliccando sul seguente LINK
(segnalazione dell’avv. Alberto Michelis, socio CAT Liguria)
Comments are currently closed.